Riccardo Ricci Curbastro è il presidente di Federdoc, la Confederazione Nazionale dei Consorzi di Tutela dei Vini a Denominazione di Origine che da oltre 30 anni tutela e promuove il patrimonio vitivinicolo italiano a livello nazionale e internazionale e tutte le aziende coinvolte. Oggi Federdoc rappresenta l’unico organismo interprofessionale esistente in Italia, attorno al quale ruotano le componenti agricole, industriali, cooperative e commerciali di un settore, quello del vino a Denominazione d’Origine, in grado di esprimere da solo 8,3 miliardi di euro alla produzione e 5,3 miliardi di euro all’export (dati Rapporto Ismea-Qualivita 2018). Con Ricci Curbastro proviamo dunque a fare un bilancio di quello che è stato e soprattutto una sintesi di quello che potrebbe, o dovrebbe, accadere il prossimo anno per un comparto chiave della nostra economia, dove risulta fondamentale il ruolo di controllo e vigilanza svolto dalla Federazione.
“Da vignaiolo sono abituato a pensare positivo, quindi credo che il 2018 abbia avuto più luci che ombre. Senza voler essere falsamente ottimisti, abbiamo chiuso una bella vendemmia, dopo i guai che tutta l’Italia ha sofferto nel 2017 e già questo è un buon motivo per essere più sereni. E’ indubbio che ci siano molti problemi sul tavolo e che si debba fare uno sforzo di sintesi per arrivare a concludere alcune delle vicende che riguardano la nostra vitivinicoltura. Penso ad esempio ai ritardi che abbiamo accumulato in passato con l’Ocm per la promozione. Spero che il lavoro che si sta facendo in questi mesi al Ministero possa portarci in primavera ad avere un nuovo decreto e tempi certi per l’applicazione dall’autunno dell’anno prossimo, perché i ritardi degli anni scorsi non sono tollerabili laddove il mercato corre più di noi”.
Ma nell’agenda 2019, secondo il presidente Ricci Curbastro, bisognerà segnarsi come appuntamento decisamente rilevante anche quello con le elezioni europee e il cambio della Commissione che, pur essendo percepiti da molti degli italiani come momenti lontani e poco interessanti, sono invece fondamentali per il nostro futuro: “Non interessarsi di quello che succederà nelle prossime elezioni europee o pensare di poter saltare l’appuntamento non partecipando attivamente credo sarebbe un altro grande errore, spero saremo capaci di evitarlo”.
Anche perché, alla luce delle imminenti votazioni, è scontato chiedersi quali saranno le novità in campo economico e dunque le aspettative sul fronte degli scambi commerciali, temi prioritari per le imprese vitivinicole italiane. “Sulle nuove situazioni immagino che gli accordi bilaterali tra l’Europa e gli altri Paesi avranno una battuta d’arresto causa elezioni e cambio della Commissione. Però quella è una strada imboccata che deve essere mantenuta, perché la possibilità di penetrare nuovi mercati è legata anche alla riduzione di barriere doganali e aggiungo, dal punto di vista delle denominazioni, anche alla protezione di alcuni dei nostri prodotti più importanti che sono continuamente usurpate e che viceversa, tramite gli accordi bilaterali, possono essere protetti in maniera più attiva”.
E a proposito di protezione, sono state e continuano ad essere diverse le battaglie portate avanti dalla Confederazione Nazionale dei Consorzi di Tutela dei Vini a Denominazione di Origine in difesa del settore. “Direi che tutto quello che è il mondo di Internet è un aspetto sul quale ci siamo sempre spesi e su cui ci impegneremo molto anche nel 2019. La Commissione ha finalmente attivato una serie di ricognizioni per il prossimo anno per capire come risolvere il problema della vendita a privati all’interno del mercato europeo. Oggi quello che è un mercato unico, per il vino è invece solo nazionale, perché il produttore non può vendere al libero cittadino, ad esempio in Germania, che per altro ha diritto di acquistarlo in Italia e trasportarselo in macchina. Quindi è un meccanismo che ha delle distorsioni da risolvere e finalmente abbiamo avviato, anche con un incontro organizzato a Bruxelles dagli onorevoli Dorfmann e De Castro, una discussione con la Commissione per trovare una soluzione a questa problematica”.
Non da meno, gli sforzi concentrati sulla questione dell’italian sounding e del falso in Internet, in particolare. Ambiti in cui il Belpaese è comunque molto avanti grazie agli accordi che il Ministero dell’Agricoltura ha già stipulato insieme ad Aicig (oggi Origin Italia) e a Federdoc per quanto riguarda la rimozione dalle piattaforme di vendita di tutto quello che può essere un falso prodotto a denominazione d’origine. “Questi accordi – spiega ancora Ricci Curbastro – sono stati firmati con Ebay e Alibaba e rappresentano un’ottima cosa per mantenere il controllo su questo grande mercato che continuiamo a chiamare virtuale, ma che virtuale non è perché muove milioni e milioni di euro, milioni di tonnellate di merci e quindi di bottiglie di vino”.
Da uomo di mondo, abituato a viaggiare e a confrontarsi con culture sempre diverse ma pur sempre in rappresentanza dell’italian style e soprattutto del vino made in Italy, non ci resta che chiedere al presidente di Federdoc quali sono i pregi e i difetti del sistema vino tricolore nel confronto con l’estero. “Abbiamo sicuramente in più un sistema di controllo e di certificazione della qualità dei prodotti d’origine unico al mondo e davvero performante, che arriva fino alla fascetta alfanumerica sulla singola bottiglia, quindi una ‘targa’ al pari delle automobili che riconosce una bottiglia dall’altra. Forse quello che ci manca è l’averlo saputo vendere. Ma penso che nel 2019 avremo nuova piattaforma che permetterà al consumatore in qualsiasi situazione, dal ristorante al bar, fino allo scaffale del negozio, di verificare l’origine di quel prodotto, la sua storia, la sua traccia. Un fattore, quello della tracciabilità, che esiste perché certifichiamo l’uva dal vigneto alla bottiglia ma che non vendiamo con adeguata attenzione. Parlo di vendere perché chiaramente si tratta di un valore aggiunto che potrebbe portare ad una maggiore riconoscibilità delle differenze tra noi italiani e i nostri competitor”.
Articolo di Stefano Carboni
Fonte: First & Food